
Perché le Lacrime dei Bimbi Ci Fanno Piangere e Perché Sono Importanti
Teresa Pitman
Traduzione di Eva Gisella Natali Williams.
Revisione di Misha Laudicina, Giovanna Palù
Foto: Sweetdreams Photography
Una volta, aspettando il mio volo in aeroporto, ho visto un papà che portava in braccio il suo bambino. Il bimbo non piangeva forte, si lamentava appena ed era scontento; il papà gli dava dei colpetti sulla schiena dolcemente mentre camminava su e giù tra i posti a sedere pieni di viaggiatori stanchi. Mi ha fatto sorridere, ma sono rimasta allibita quando una signora di una certa età si è alzata e si è piantata di fronte al papà. Con una voce alta abbastanza da farsi sentire da tutti noi, lo ha rimproverato di “viziare il bimbo” e gli ha fatto presente che il bambino sarebbe stato “rovinato a vita” se avesse continuato a portarlo in braccio e consolarlo.
Non avrebbe potuto dire nulla di più sbagliato.
Rispondere al pianto del bambino, invece, è importante per il suo sviluppo da più punti di vista. In particolare, man mano che cresce, il bambino piange sempre meno. Le ricercatrici Silvia Bell e Mary Ainsworth della John Hopkins University hanno osservato che le madri che reagivano rapidamente al pianto nei primi mesi avevano dei bambini che piangevano meno spesso e per periodi di tempo più brevi a un anno di età, rispetto alle madri che rimandavano la risposta o a volte ignoravano completamente il pianto.

Attualmente, le ricerche più recenti dimostrano come rispondere al pianto del bambino lo protegga contro futuri problemi di salute mentale e reazioni negative allo stress. Megan Gunnar et al. hanno scoperto di poter misurare i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, nel sistema di un bimbo offrendogli da succhiare una striscia di stoffa morbida dal sapore dolce. Questo ha permesso ai ricercatori di verificare se una certa situazione causava stress al bimbo, e con quale intensità.
In una presentazione del 2009, Gunnar ha spiegato che il sistema degli ormoni dello stress è particolarmente reattivo nei primi tre o quattro mesi di vita. Il bimbo viene stressato facilmente da molte cose che per noi sembrano solo piccoli fastidi: essere lontano dalla mamma, fare il bagnetto, cambiare il pannolino e avere fame. Queste attività quotidiane possono far schizzare alle stelle i livelli di cortisolo del bambino. Se però chi si prende cura del bimbo risponde al suo pianto e agli altri segnali di fastidio del piccolo confortandolo e consolandolo, i livelli di cortisolo si abbassano di nuovo. Gunnar aggiunge che queste cure delicate e premurose sono necessarie durante la prima infanzia per mantenere il cortisolo a livelli sostenibili per la salute.
Perché il livello di cortisolo è così importante? Perché livelli cronicamente elevati di cortisolo hanno un impatto sullo sviluppo cerebrale del bambino, sulla capacità futura di rispondere allo stress, sul sistema immunitario, sul rischio di obesità e altre aree dello sviluppo. Non è cosa da poco.
La buona notizia è che non serve essere madri “perfette” per proteggere il vostro bambino dallo stress. L’ho sperimentato in prima persona. Durante le prime due settimane di vita, il primo dei miei figli era abbastanza rilassato. Si attaccava al seno piuttosto spesso ma dormiva quasi sempre tra una poppata e l’altra. Pensavo di essere una madre eccezionale.
A due settimane, però, la luna di miele era finita. Il piccolo si lamentava frequentemente, piangeva più spesso di quanto mi aspettassi, e voleva essere attaccato al seno tutta la sera. Provavo tutto quello che mi veniva in mente per consolarlo, e mentre a volte si calmava, spesso non riuscivo a capire cosa volesse.
Le lacrime dei bimbi
Ricordo che ero seduta tenendolo in braccio appoggiato sulla mia spalla, con gli occhi chiusi e il visino rosso per lo sforzo del pianto, e che dicevo: “Non so cosa fare per aiutarti, ma sono qui con te.” Sembrava essere la cosa migliore che potessi fare. Adesso che ho quattro figli e sei nipoti, so quanto fosse vera quella mia frase. A volte il pianto di un bimbo può essere calmato e a volte no, ma le ricerche dimostrano che stare lì, semplicemente stare lì, fa un’enorme differenza. Piangere nelle braccia di una madre amorevole è un’esperienza ben diversa per il bambino rispetto al piangere da solo in una culla.
Le ragioni? Il pianto è così universale che sembra debba esserci una buona ragione al di là del far impazzire i genitori. Ovviamente c’ è—e il bisogno di succhiare al seno fa parte di quella ragione. Il Dott. Ron Barr, un medico canadese che ha fatto ricerche sulle coliche e il pianto dei neonati per molti anni, ha osservato bambini in tutto il mondo, non solo in Nord America o Europa, essendo così in grado di discutere gli aspetti del pianto che vanno oltre i confini culturali. Ha riscontrato uno schema costante in tutto il mondo: i bimbi non piangono molto nel primo paio di settimane, poi aumentano costantemente il pianto nelle settimane successive. Il pianto raggiunge l’apice a circa due mesi, e poi gradualmente diminuisce.
Il pianto è così universale che sembra debba esserci una buona ragione al di là del far impazzire i genitori.
Barr ha osservato anche che in tutte le società ci sono bimbi che piangono di più—a volte molto di più—della media. Li chiameremmo “bambini ad alto bisogno.” Questi bambini non hanno alcun problema medico, afferma Barr. Sono semplicemente a un estremo del “continuum del pianto.”
Le ricerche di Barr, e altri studi che ha analizzato, riportano vari possibili benefici del pianto.
- Nelle culture tradizionali, dove l’allattamento è la norma, le madri solitamente rispondono al piangere o al lamentarsi del bimbo offrendogli il seno. Tipicamente il bimbo si attacca per pochi minuti, tre o quattro volte all’ora. Come dice il Dott. Barr, in quelle culture, è il bimbo a controllare l’andamento del proprio nutrimento. Nella nostra invece, di solito sono i genitori a controllarlo. Il pianto frequente nelle prime settimane e nei primi mesi serve ad assicurare che il bimbo riceva molto latte e a stimolarne la produzione in modo che continui ad essere abbondante per molti mesi a venire.
- Sempre in quelle culture tradizionali, i genitori prendono in braccio il bimbo quando piange e lo tengono vicino a loro—e questo protegge il bimbo dai predatori e dagli altri pericoli. Un bimbo che non e’ nelle braccia dei suoi genitori o vicino ad una persona adulta è a rischio, per cui il pianto frequente garantisce che sia al sicuro. I nostri bimbi non sono a rischio per colpa di animali selvatici o a causa di esposizione agli elementi della natura, ma loro non lo sanno. Come nota il Dott. Barr: “La separazione causa il pianto, e il contatto spesso lo interrompe.”
- Quando le madri rispondono al pianto offrendo il seno, il bimbo riceve benefici che vanno al di là del latte. L’allattamento frequente stimola la produzione di prolattina, l’ormone responsabile della produzione del latte, interrompendo l’ovulazione e riducendo le probabilità che la madre rimanga di nuovo incinta. I livelli di prolattina sono massimi durante le poppate notturne, e sappiamo che la frequenza della suzione sembra essere più importante della durata di ogni poppata nell’ inibire l’ovulazione. In altre parole, è più efficace (in termini di infertilità naturale) per il bimbo fare cinque poppate corte di sera, piuttosto che due lunghe. Lamentarsi e attaccarsi frequentemente al seno nelle ore serali si traducono in due cose positive dal punto di vista biologico: il bimbo non vedrà diminuire la produzione di latte a causa di un’altra gravidanza, e sarà meno probabile che la madre diventi anemica per la perdita di ferro che avviene con il flusso mestruale.
- Quando i genitori non si sentono frustrati e stressati, il pianto può procurare sentimenti di premura e amorevolezza e rinforzare il legame tra genitori e bimbo. Voi stesse sapete quanto il pianto di un neonato riesca a stringervi il cuore. Queste prime settimane sono un’occasione per i genitori e il bambino per imparare a conoscersi a vicenda, e per i genitori per imparare cosa tranquillizza e rasserena il bimbo. Il pianto frequente dà ai genitori molte opportunità per esercitarsi e anche per avere la conferma di stare facendo un buon lavoro!
Reazioni della madre

Se rispondere al pianto del bambino è così importante, ci si aspetterebbe che il cervello della madre fosse “programmato” per rispondere. Infatti, è così. Il Dott. James Swain, un professore canadese della Yale University, studia da tempo le immagini cerebrali delle madri in risposta al pianto dei propri figli. “Il pianto del bambino attiva nel cervello della madre dei circuiti simili a quelli che che si attivano nel cervello delle persone affette da disturbo ossessivo-compulsivo,” afferma Swain. “Il pianto agisce anche sulle parti del cervello dove si collocano i centri della motivazione, le parti che ci aiutano a valutare l’ambiente circostante, e le parti che ci tranquillizzano per evitare di perdere il controllo.”
L’attività cerebrale così descritta ha senso quando si pensa ai bisogni del bambino: quando piange, vuole trovare qualcuno motivato a rispondergli, quasi ossessionato dall’assicurarsi che tutto sia a posto, e che sia calmo quando cerca di tranquillizzarlo.
Anche l’allattamento influenza le risposte del nostro cervello. Nel 2011, Swain e i suoi colleghi ricercatori hanno sottoposto alla Risonanza Magnetica (RM) il cervello di varie madri che allattavano al seno mentre ascoltavano il pianto dei loro bimbi, di età compresa tra le due e le quattro settimane. I risultati delle RM sono stati messi a confronto con quelli di altre madri che usavano esclusivamente formula e ascoltavano i loro bimbi piangere. In media, le madri che allattavano mostravano un’attività più elevata nelle parti del cervello legate a comportamenti premurosi, nonché maggiore sensibilità nei confronti dei loro bimbi quando venivano esaminate di nuovo quattro mesi dopo il parto.
Nello studio originale, Swain ha fatto anche un confronto tra le madri che hanno avuto un parto vaginale e quelle che hanno avuto un cesareo elettivo. Al momento della prima serie di Risonanze Magnetiche, i bambini avevano tra le due e le quattro settimane, e Swain ha osservato che le madri che avevano avuto un parto vaginale erano significativamente più sensibili al pianto dei loro bimbi. Anche se a nessuna delle madri nello studio era stata diagnosticata depressione clinica, le madri meno sensibili al pianto dei propri bimbi mostravano anche più sintomi depressivi.
Swain non esita ad aggiungere: “Questo non vuol dire che le madri che hanno un cesareo elettivo siano cattive madri. Abbiamo ripetuto le RM al cervello quando i bambini avevano circa quattro mesi, e a quel punto le differenze erano significativamente minori. Tutto il tempo trascorso a tenere il bambino in braccio e interagire con lui aveva compensato ogni differenza attribuibile alla modalità del parto.”
Genitori

Il lavoro di Swain si basa su studi condotti in passato sulle reazioni del cervello umano al pianto dei neonati. Seifritz, un ricercatore svizzero, ha osservato nel 2003 che il cervello di varie donne, con o senza figli, reagiva sia al riso che al pianto dei bimbi in maniera più forte rispetto agli uomini senza figli. Invece, genitori di entrambi i sessi mostravano una reazione più importante al pianto rispetto al riso. Questo rinforza le osservazioni di Swain secondo cui l’esperienza di prendersi cura dei propri bimbi, cambia il modo in cui il cervello dei genitori reagisce al pianto. Se si dice che il pianto aiuta genitori e bimbi ad essere in sintonia, perché è anche collegato all’abuso? È noto che la maggior parte dei casi di bimbi che vengono picchiati o scossi sia connessa al pianto. Cosa rende quest’ultimo un problema così grande per i genitori nella nostra società?
Per prima cosa, ai genitori, nella nostra società, viene spesso detto di non fare le cose che i genitori nelle culture tradizionali fanno naturalmente per calmare i loro bambini quando piangono. Le ricerche di Barr et al. hanno dimostrato che la quantità di pianto complessiva dei bambini si dimezza quando i genitori li portano in braccio a stretto contatto (pelle a pelle il più possibile), dormono vicino a loro, li allattano frequentemente, e rispondono velocemente se piangono o si lamentano. Ma alla maggior parte dei genitori nelle società occidentali viene detto che questi comportamenti rassicuranti ‘vizieranno’ il bambino o addirittura che il bambino li starebbe “manipolando,” così il bimbo piange sempre di più, e i genitori diventano sempre più frustrati.
Inoltre, molti genitori non hanno nessuno che possa dare loro una mano quando il pianto comincia a sfinirli. Può essere che il vostro cervello dica “Rispondi al tuo bimbo” ma il vostro corpo dica “Dormi, hai bisogno di dormire!” È proprio in quel momento che avere vicino una nonna, il proprio partner, una tata per il periodo post-partum, o un’altra persona di sostegno può fare una grande differenza, lasciando riposare un po’ la madre e allo stesso tempo rassicurando il bimbo che c’ è qualcuno a tenerlo in braccio e al sicuro.
La Leche League ha sempre incoraggiato le madri ad ascoltare i loro cuori nel rispondere ai propri bimbi, e le ricerche più recenti confermano che questo è il miglior modo di proteggere il bambino dagli effetti negativi dello stress. È vero, il messaggio “prendi in braccio e coccola il tuo bambino” in realtà arriva dal cervello, non dal cuore—ma lo sentiamo nei nostri cuori.
Bibliografia
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Barr, R.G., Paterson, J.A., MacMartin L.M. et al. Prolonged and unsoothable crying bouts in infants. J Dev Behav Pediatr 2005 Feb; 26(1):14–23.
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Gunnar, M.R., Herrera, A., Hostinar, C. Encyclopedia on Early Childhood Development ©2009 Centre of Excellence for Early Childhood Development.
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Seifritz, E. et al. Differential sex-independent amygdala responses to infant crying in parents versus non-parents. Biol Psychiatry 2003 Dec 15; 54(12):1367–75.
Swain, J.E., Lorberbaum, J.P. Kose, S., Strathearn L. Brain basis of early parent- infant interactions. J Child Psychol Psychiatry 2007 Mar–Apr; 48(3–4):262–87.
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Teresa Pitman è una Consulente di La Leche League da 34 anni e ha scritto numerosi libri e articoli sull’allattamento e altri temi legati alla genitorialità. È una delle autrici de L’Arte dell’Allattamento Materno, Ottava Edizione, ed è relatrice in numerose conferenze. È madre di quattro figli adulti (tutti allattati al seno) e nonna di otto nipotini (anche loro, tutti allattati).