
L’Allattamento per le Madri Sieropositive
Pamela Morrison, IBCLC
Tradotto da Sara Piloni, Viterbo, Revisionato da Elena Fumagalli, La Spezia, e Carla Scarsi, Genova
Foto: Athena, per gentile concessione di Lena Ostroff
Le raccomandazioni da parte delle autorità sanitarie mondiali sostengono l’allattamento esclusivo per tutti i bambini per i primi sei mesi di vita e la prosecuzione dell’allattamento fino a due anni ed oltre.(1) Tuttavia si ritiene comunemente che il caso di un bambino nato da madre affetta da HIV rappresenti un’eccezione a questa raccomandazione, a causa del timore che la madre possa trasmettere il virus al bambino attraverso il suo latte.(2)
La maggior parte dei bambini esposti al virus dell’HIV nasce in luoghi in cui l’allattamento è la norma culturale e dove la nutrizione con formula è particolarmente male accettata, ritenuta innaturale e stigmatizzata.(3)
Le linee guida attuali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) su HIV e nutrizione infantile sono chiare sul fatto che, per la maggior parte delle madri nella maggior parte dei Paesi, l’allattamento esclusivo per i primi sei mesi, seguito dall’allattamento complementare fino ad almeno il primo anno di vita, aumenti la sopravvivenza di bambini non affetti da HIV nati da madri sieropositive.(4) In altre parole, ricerche recenti suggeriscono che la nutrizione con formula sia più rischiosa dell’allattamento in presenza di HIV. Date le maggiori informazioni disponibili, sempre più madri sieropositive nei Paesi industrializzati si chiedono se il rischio di trasmissione dell’HIV attraverso l’allattamento sia così elevato come sono state indotte a credere finora e se, in caso contrario, anche loro possano allattare.
Le linee guida attuali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) su HIV e nutrizione infantile sono chiare sul fatto che, per la maggior parte delle madri nella maggior parte dei Paesi, l’allattamento esclusivo per i primi sei mesi, seguito dall’allattamento complementare fino ad almeno il primo anno di vita, aumenti la sopravvivenza di bambini non affetti da HIV nati da madri sieropositive.
Quali informazioni possono aiutare queste madri a prendere una decisione consapevole in merito alla sicurezza dell’allattamento dei propri bambini? Quali ricerche possono discutere con i propri medici e con gli specialisti in HIV quando esprimono le proprie aspirazioni e chiedono sostegno?
Come viene misurato il rischio di trasmissione dell’HIV associato all’allattamento?
In primo luogo, occorre ricordare che sin dal 1985 l’allattamento nel contesto dell’infezione da HIV ha ricevuto molta cattiva pubblicità. Persistono timori legati alle prime stime di un rischio di trasmissione elevato. Ma c’è una grande differenza nel rischio di trasmissione tra una madre che riceve un’efficace terapia antiretrovirale (TAR) nel 2014(5) e una madre sfortunata di qualche decennio fa per la quale non erano disponibili terapie farmacologiche e che aveva un rischio di trasmissione postnatale attraverso l’allattamento del 15-30% più alto di quello stimato per le madri che non allattavano.(6)
La trasformazione dovuta ad una terapia antiretrovirale (TAR) efficace
Un numero crescente di ricerche mostra che una TAR efficace non solo può migliorare la salute della persona affetta da HIV e permetterle di godere di una normale aspettativa di vita,(7) ma costituisce anche un’efficace forma di prevenzione tra membri di una coppia sierodiscordante e tra la madre sieropositiva e il suo bambino durante la gravidanza, la nascita e l’allattamento.
Non sono stati riscontrati casi di trasmissione di HIV durante i due anni di follow-up di coppie sierodiscordanti quando il partner sieropositivo riceveva una terapia antiretrovirale.(8) Le più aggiornate linee guida dell’OMS raccomandano che tutte le donne alle quali venga diagnosticata un’infezione da HIV dovrebbero ricevere immediatamente la TAR e proseguirla per tutta la vita.(5) Le madri in attesa alle quali venga diagnosticata un’infezione da HIV all’inizio della gravidanza possono ricevere una TAR sufficientemente lunga da assicurare che la loro carica virale diventi non rilevabile entro la DPP, così da rendere trascurabile il rischio di trasmissione al bambino durante il travaglio e il parto e consentendo un normale parto vaginale.(9) La durata del trattamento è importante: uno studio pubblicato nel 2011(10) mostra che la TAR deve essere assunta per tredici settimane circa, affinché la carica virale sia ridotta a livelli non rilevabili dai test standard per l’HIV; le madri che ricevevano la TAR per meno di quattro settimane avevano un rischio cinque volte maggiore di trasmettere l’HIV ai propri bambini.
Allattamento esclusivo
L’importanza dell’allattamento esclusivo nel ridurre il rischio di trasmissione post-natale dell’HIV è stata stabilita per la prima volta in uno studio sudafricano del 1999(11) e successivamente confermata attraverso uno studio su neonati dello Zimbabwe nel 2005.(12) In quest’ultimo studio, l’allattamento esclusivo messo a confronto con una nutrizione mista precoce (latte materno, altri cibi e liquidi), ha ridotto la trasmissione del 75% in bambini sottoposti al test a sei mesi. È stato ipotizzato che una precoce integrazione del latte materno con altri cibi e liquidi possa disturbare la normale flora gastrointestinale del neonato.(13) Quando i bambini sono alimentati in modo misto, alcuni patogeni e antigeni alimentari contenuti nella formula artificiale possono causare microlesioni e infiammazione a livello della mucosa intestinale del bambino. Una volta che l’integrità dell’intestino del bambino è stata compromessa, è più facile per l’HIV contenuto nel latte materno attraversare la mucosa ed entrare nel flusso sanguigno del bambino. D’altro canto le componenti protettive nel latte materno, per esempio il fattore di crescita epidermico, possono aiutare la maturazione della barriera epiteliale dell’intestino, favorendo la protezione dall’HIV.
Quando è possibile ridurre quasi a zero il rischio di trasmissione dell’HIV da madre a figlio in utero, durante il parto o durante l’allattamento, come è possibile fare oggi, non è più necessario che le donne sieropositive abbandonino la speranza di allattare.
Normale alimentazione mista dopo i primi sei mesi
Come risultato delle scoperte sull’effetto protettivo dell’allattamento esclusivo nei primi sei mesi, sono state espresse perplessità in merito al pericolo di trasmissione dell’HIV durante la normale alimentazione mista dopo il sesto mese. Di conseguenza, le madri sieropositive che avevano scelto di allattare sono state esortate a praticare il prima possibile quella che è stata chiamata “interruzione precoce dell’allattamento” o “svezzamento precoce”.(14, 15)
Studi successivi hanno confermato che, dopo il periodo di sei mesi di allattamento esclusivo raccomandato, l’allattamento parziale, con l’aggiunta di altri cibi e liquidi, come raccomandato per i bambini al di fuori del contesto dell’HIV, è risultato essere a bassissimo rischio di trasmissione nel periodo tra i 6 e i 12 mesi.(16, 17) Ulteriori studi condotti in Zambia, nei quali la TAR materna era stata iniziata precocemente durante la gravidanza ed era proseguita fino a 12 mesi post-partum, e durante la quale i neonati venivano allattati in modo esclusivo fino a 6 mesi e poi in modo parziale affiancando al latte materno alimenti complementari nel periodo 6-12 mesi, hanno riportato una percentuale di trasmissione dell’HIV post-partum dell’1-2% a 12 mesi.(17, 18, 19) Test di conferma hanno mostrato che gli unici casi di trasmissione postnatale si erano verificati in un neonato a due settimane post-partum (trasmissione che verosimilmente era avvenuta in utero) o in donne che si erano dimostrate non aderenti alla terapia farmacologica assegnata.(20)
Qual è il rischio del non allattamento?
Nonostante questi risultati eccellenti, rimane opinione comune che, poiché le donne che hanno contratto il virus dell’HIV e che vivono in Paesi industrializzati come Europa, Nord America e Australia, hanno accesso ad acqua pulita e alimenti per l’infanzia alternativi e sicuri, evitare l’allattamento sia esente da rischi. Questo può derivare in parte da una fuorviante comunicazione dei risultati delle ricerche,(21) perché in realtà i bambini alimentati con formula sperimentano più alti tassi di morbilità e di mortalità rispetto ai loro omologhi allattati, anche nei paesi industrializzati.(22, 23, 24, 25, 26, 27, 28)
Indicazioni attuali nei Paesi “sviluppati”
In Paesi industrializzati come Regno Unito, Europa, Australia e Canada, un’alta percentuale delle madri sieropositive è immigrata da Paesi con alta diffusione dell’HIV, in particolar modo quelli dell’Africa orientale e meridionale. Riconoscendo che le proprie indicazioni dovessero adattarsi alla popolazione per la quale erano state create ed in seguito ad un’ampia consultazione, la British HIV Association, (BHIVA), nel 2011 ha pubblicato un position paper revisionato nel quale afferma che, sebbene la nutrizione con formula rimanga la prima raccomandazione per l’alimentazione del bambino in un contesto di HIV, quando una madre sieropositiva con carica virale non rilevabile desidera allattare dovrebbe essere sostenuta nella sua scelta.(29) La BHIVA raccomanda che le madri che scelgono questa opzione pratichino l’allattamento esclusivo per i primi sei mesi di vita del bambino, ricevendo al contempo regolare monitoraggio della propria carica virale e dello status sierologico del bambino.
Anche negli Stati Uniti si è verificata un’analoga attenuazione del precedente divieto assoluto di allattamento e delle relative minacce di imposizione di provvedimenti a tutela del bambino contro le madri che non rispettassero tale divieto. Nei primi mesi del 2013 l’Accademia Americana di Pediatria ha pubblicato le raccomandazioni, revisionate, a sostegno dell’allattamento nel caso di madri sieropositive che siano aderenti alla TAR, raggiungano una carica virale non rilevabile, pratichino allattamento esclusivo per i primi sei mesi, e le cui condizioni di salute siano strettamente monitorate ed ottimizzate insieme a quelle del bambino.(30)
Sostenere l’allattamento anche nel contesto dell’HIV?
È preferibile che l’allattamento nel contesto dell’HIV sia pianificato meticolosamente. Le madri sieropositive hanno bisogno di essere in contatto con i propri medici e gli specialisti in HIV già nella fase pre-natale. Esse dovrebbero discutere con i medici le informazioni in loro possesso sui risultati degli studi più recenti, compresi i rischi e benefici dei diversi metodi di alimentazione, l’importanza della TAR, la durata della terapia, la carica virale non rilevabile e l’assunzione regolare dei farmaci. Si potrebbe suggerire alle madri di informarsi esse stesse sulle politiche locali o nazionali in merito ad HIV e alimentazione infantile e di cercare un rappresentante legale nel caso ci fosse la possibilità di dubbi riguardo la tutela del bambino o di minacce di coercizione a favore dell’alimentazione con formula, come è stato occasionalmente riportato.(31)
Se decidessero di allattare, prima e dopo il parto le madri sieropositive dovrebbero ricevere assistenza per l’allattamento competente e informata da un’organizzazione di sostegno all’allattamento riconosciuta o da una Consulente professionale in allattamento (IBCLC). Le madri potrebbero aver bisogno di aiuto pratico per attaccare il bambino al seno in modo confortevole ed assicurare un allattamento efficace, oltre che di suggerimenti successivi per evitare, minimizzare e risolvere il prima possibile qualunque problema al seno o ai capezzoli nel post-partum, come ragadi, ingorghi, o sintomi di mastiti. È importante prevenire o trattare questo tipo di difficoltà, non solo per evitare di aumentare il rischio di trasmissione post-partum dell’HIV, ma anche per fare in modo che l’allattamento esclusivo possa essere avviato e mantenuto facilmente per tutti i primi sei mesi di vita del neonato. Lo status sierologico del bambino dovrebbe essere testato alla nascita e poi ad intervalli mensili fino a tre mesi dopo la fine dell’allattamento.(29, 30)
Infine, non si sottolineerà mai abbastanza la necessità che chi si occupa della consulenza in allattamento segua e si tenga in contatto con chi fornisce le cure primarie a madre e bambino, in modo che tutte le parti possano lavorare in squadra per i migliori risultati in termini di salute per la madre e per il bambino.
Speranza per il futuro
Quando è possibile ridurre quasi a zero il rischio di trasmissione dell’HIV da madre a figlio in utero, durante il parto o durante l’allattamento, come è possibile fare oggi, non è più necessario che le donne sieropositive abbandonino la speranza di allattare. La ricerca scientifica più recente suggerisce che donne sieropositive che ricevono un’adeguata TAR possono intraprendere una gravidanza e partorire i propri figli per via vaginale in sicurezza. La ricerca mostra anche che l’allattamento porta ad esiti di salute migliori rispetto al non allattamento. Esistono solo due condizioni:
- le madri devono attenersi scrupolosamente alla terapia farmacologica;
- l’allattamento deve essere esclusivo per i primi sei mesi di vita.
Quando queste due condizioni sono soddisfatte, il rischio di trasmissione madre-figlio del virus HIV attraverso l’allattamento può essere ridotto a livelli trascurabili. L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce tali evidenze come “innovative” e ne consegue che non dovrebbe essere necessario scoraggiare l’allattamento né nel contesto dell’HIV né al di fuori di esso.
Riferimenti
3 UNAIDS. Report on the Global AIDS epidemic 2013
6 Dunn DT, Newell ML, Ades AE et al. Risk of human immunodeficiency virus type 1 transmission through breastfeeding. Lancet Sep 5, 1992;340:585-88.
8 Rodger A, Bruun T, Cambiano Vet al HIV. Transmission Risk Through Condomless Sex If HIV+ Partner On Suppressive ART: PARTNER Study. Paper presented at 21st Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections, Boston. 2014.
14 Ekpini ER, Wiktor SZ, Satten GA et al. Late postnatal mother-to-child transmission of HIV-1 in Abidjan, Côte d’Ivoire. Lancet 1997;349: 1054–1059.
15 WHO 2005. HIV and Infant Feeding Counselling Tools, Reference Guide ISBN 92 4 159301 6
17 Ngoma M, Raha A, Elong A, et al. Interim Results of HIV Transmission Rates Using a Lopinavir/ritonavir based regimen and the New WHO Breast Feeding Guidelines for PMTCT of HIV. International Congress of Antimicrobial Agents and Chemotherapy (ICAAC) Chicago Il, Sep19,2011. H1-1153.
18 Silverman MS. (Powerpoint Presentation): Interim Results of HIV Transmission Rates Using a Lopinavir/ ritonavir based regimen and the New WHO Breast Feeding Guidelines for PMTCT of HIV [abstr. H1-1153] Presented at: International Congress of Antimicrobial Agents and Chemotherapy (ICAAC) Chicago IL, Sep19, 2011.
20 Silverman, M. Personal communication, 2 Oct 2011.
21 Smith J, Dunstone M, & Elliott-Rudder M. (2009) Health Professional Knowledge of Breastfeeding: Are the Health Risks of Infant Formula Feeding Accurately Conveyed by the Titles and Abstracts of Journal Articles? Journal of Human Lactation, 2009;25(3): 350-358.
22 Bachrach VR, Schwarz E & Bachrach LR. Breastfeeding and the risk of hospitalization for respiratory disease in infancy: a meta-analysis. Archives of Pediatrics & Adolescent Medicine 2003;157(3): 237-243.
23 Bartick M, & Reinhold A. The burden of suboptimal breastfeeding in the United States: a pediatric cost analysis. Pediatrics 2010; 125(5): e1048-1056.
24 Chen A & Rogan W J. Breastfeeding and the risk of postneonatal death in the United States. Pediatrics 2004; 113(5): e435-e439.
25 Duijts L, Jaddoe VW, Hofman A et al. Prolonged and exclusive breastfeeding reduces the Risk of infectious diseases in infancy. Pediatrics 2010;126(1), e18-25.
26 Glass RI, Lew JF, Gangarosa RE et al. Estimates of morbidity and mortality-Rates for diarrheal diseases in American children Journal of Pediatrics 1991;118(4),S27-S33.
27 Ip S, Chung M, Raman G et al. A summary of the Agency for Healthcare Research and Quality’s evidence report on breastfeeding in developed countries. Breastfeeding Medicine 2009; 4(Suppl 1):S17-30.
28 Quigley MA, Kelly YJ, & Sacker A. Breastfeeding and hospitalization for diarrheal and respiratory infection in the United Kingdom Millennium Cohort Study. Pediatrics 2007;119(4), E837-E842. doi:10.1542/peds.2006- 2256.
30 American Academy of Pediatrics, Committee on Pediatric AIDS, Infant feeding and transmission of HIV in the United States, COMMITTEE ON PEDIATRIC AIDS. Pediatrics 2013; 131:2 391-396.
31 Walls T, Palasanthiran, Studdert J et al. Breastfeeding in mothers with HIV. Journal of Pediatrics and Child Health 2010 Jun;46(6):349–352, doi:10.1111/j.1440- 1754.2010.01791.x.
STORIE DI MADRI SIEROPOSITIVE

La storia di Jacky
Ho scoperto di avere l’HIV, la tanto temuta malattia, nel 2006, quando il mio bambino aveva un anno. È stato molto difficile per me da accettare. Quando sono rimasta di nuovo incinta nel 2013, la conta dei CD4 era bassa. Le cellule CD4 o linfociti-T, sono i “generali” del sistema immunitario umano. Sono le cellule che inviano i segnali per l’attivazione della risposta immunitaria quando individuano un “intruso”, come un virus o un batterio. A causa del ruolo importante che queste cellule svolgono nel modo in cui il nostro corpo combatte le infezioni, è importante che il loro numero venga mantenuto nei normali range al fine di prevenire le complicanze legate all’HIV e alle infezioni opportunistiche. Così a dodici settimane di gestazione ho iniziato ad assumere una compressa con Combinazione a Dose Fissa (CDF) contenente tenofovir, emtricitabina e efarivenz. Non è stato facile abituarmi alla cura, dato che vomitavo e avevo vampate di calore, ma dando priorità all’interesse del bambino pian piano mi sono abituata all’assunzione di questi medicinali. Sono felice di essermi iscritta ai corsi pre-natali del Discovery Hospital, durante i quali abbiamo ricevuto informazioni sull’alimentazione, su come vivere in modo positivo la nostra condizione e sull’importanza dell’allattamento. Inizialmente pensavo che avrei dovuto dare al mio bambino la formula. Ero molto preoccupata perché non volevo trasmettergli il virus. Sentimenti contrastanti e confusione aleggiavano sulla mia decisione riguardo il modo di nutrirlo.
Ero piena di “E se…?” come le altre donne incinte. Avevo cercato l’argomento su internet e alcuni siti erano totalmente contrari all’allattamento, cosa che mi allarmava. In clinica ci era stato detto che finché fossimo state in terapia con una CDF, il carico virale sarebbe rimasto basso, rendendo le possibilità di trasmissione molto basse, a condizione che avessimo seguito le linee guida di allattamento esclusivo fino ai sei mesi di vita del bambino, non offrendogli acqua e somministrandogli solo i farmaci prescritti dal personale sanitario. Lo staff dell’ospedale è stato fantastico. Non si sono mai stancati i rispondere alle mie domande.
Ho partorito in sicurezza e mi è stato detto di dare al mio bambino nevarepin ogni giorno. Se il bambino avesse vomitato nella mezz’ora successiva all’assunzione, avrei dovuto ripetere la somministrazione del farmaco.
La mia decisione di allattare è arrivata dopo molte consultazioni con alcune mie amiche nella stessa condizione e dopo aver seguito i messaggi della Dr.ssa Sindi su Qooh.me, un social-network. Mi sono sentita incoraggiata quando ho letto di casi simili al mio e di come quei bambini allattati risultassero negativi ai test dopo aver seguito i suoi consigli. Che Dio la benedica, lei è una su un milione!
Ero preoccupata del mio ritorno al lavoro durante l’allattamento esclusivo, ma ho imparato ad estrarre il latte e a conservarlo. Ho usato una tazza per somministrarglielo, piuttosto che il biberon, così da non confondere il mio bambino e perché risultava più facile da tenere pulita. Sono una lavoratrice autonoma e il pensiero di lasciare il mio bambino mi spaventa per ora. Ha solo sette settimane. Sento che potrei stare con lui fino ai sei mesi.
La scorsa settimana il mio bambino è stato testato per l’HIV e avrò gli esiti fra tre settimane. Naturalmente sono spaventata, ma ho seguito tutte le indicazioni e credo che lui stia bene. Ripongo la mia fede in Dio. Solo poche persone sanno del mio stato: quelle che ho conosciuto al corso pre-parto e che condividono la mia stessa condizione.
Quando dico a mia madre che il mio bambino sta piangendo, lei mi dice di dargli del porridge e che non sta prendendo latte a sufficienza, io dico solo “Ok”, perché lei è così lontana. Non metterei mai a rischio la vita del mio bambino in questo modo. Io sono la sola che possa proteggerlo, quindi voglio assicurarmi di fare la cosa giusta. Ringrazio Dio perché la mia carica virale è bassa, la mia salute è buona e il mio bambino sta crescendo bene.
Nota della redattrice: In Sud Africa, è molto comune dare porridge o altri cibi solidi già a partire dalle prime settimane di vita del bambino. È considerato un segno di estrema mancanza di rispetto contraddire gli anziani, quindi le mamme devono combattere per allattare in modo esclusivo se vivono in una famiglia allargata, come spesso avviene. Quando un’anziana dice alla mamma che dovrebbe dare il porridge al suo bambino lei sente di non poter dire di no. C’è ben poca conoscenza del perché sia dannoso per la salute dare cibi solidi ai bambini prima della metà del primo anno.
La storia di Nonhlanhla
Ero entusiasta di avere una bambina, ma dopo la sua nascita non riuscivo nemmeno a baciarla per paura di trasmetterle il virus. La respinsi per le prime sei settimane.
Ho scelto l’alimentazione al biberon, perché la mia famiglia non è al corrente della mia condizione. Loro mi sostengono nell’alimentazione con il biberon. Avrebbero fatto troppe domande sulle medicine da somministrare alla bimba ed io, che sono un po’ sbadata, avrei potuto dimenticare di dargliele mettendo in gioco la sua vita. A volte è dura tenersi dentro un segreto enorme. A volte la gente mi chiede perché non ho mai allattato la mia bambina e io rispondo che è una questione di scelte.
Questa è la mia prima bambina, sono molto giovane e devo lavorare. Se avessi conosciuto prima il Dr. Van Zyl, penso che avrei dato amore e conforto alla mia bambina sin dall’inizio e sarei stata orgogliosa di essere madre, senza pensieri negativi su di lei.
Ho imparato che una madre, sieropositiva o no, può allattare il proprio bambino, è tutta questione delle possibilità che ha. Noi madri ci troviamo ad affrontare molte sfide perché siamo noi a prenderci cura dei nostri bambini.
Finanziariamente l’allattamento è una buona strategia, dato che non soffri se non hai soldi per la formula. Il Governo qui in Sud Africa fornisce un assegno di mantenimento per i figli, per aiutarci a prenderci cura dei nostri bambini.
Nota della redattrice: Il Dipartimento della Salute del Sud Africa stima che una mamma necessiti di un reddito disponibile mensile di almeno 400 Rand per nutrire con formula il suo bambino in modo sicuro. Nel 2011, circa il 44% delle famiglie in Sud Africa ha avuto un reddito mensile complessivo di 1600 Rand o inferiore (censimento del 2011). Questo dà una misura di quale onere finanziario possa essere l’alimentazione con formula. L’assegno per i figli cui fa menzione Nonhlanhla è di 250 Rand al mese, che sono già inclusi nel calcolo del reddito totale di cui sopra.
Ho imparato che una madre, sieropositiva o no, può allattare il proprio bambino, è tutta questione delle possibilità che ha. Noi madri ci troviamo ad affrontare molte sfide perché siamo noi a prenderci cura dei nostri bambini.
La storia di Ng’enda
Sono sieropositiva da oltre sei anni. Ho cominciato le cure durante la gravidanza. Ho deciso di allattare quando ho appreso la sua importanza e il modo in cui facilita l’istaurarsi del legame madre-bambino, ma prima della nascita ho avuto dei ripensamenti per la paura di infettarlo. Nel momento in cui ho posato lo sguardo sul mio bambino tutte le paure e i dubbi sono scomparsi. Non ho incontrato nessun problema con l’allattamento. Lui avrà quattro mesi tra poco e i suoi test sono negativi.
Le persone con le quali vivo non sanno della mia situazione. L’ho detto al padre di mio figlio, sebbene lui non mi abbia preso sul serio, così non ho detto molto altro. Ho paura che potrei infettare il mio bambino e sono davvero preoccupata.
La sfida più grande come madre sieropositiva è controllare mio figlio ogni secondo per assicurarmi che nessuno gli dia altro da mangiare. Suppongo che sia colpa mia, perché non rivelo la mia condizione. Le persone in casa mi suggeriscono di dargli del porridge. Lui è un bambinone e suppongono che non possa essere soddisfatto con il latte materno. Non ho avuto il coraggio di rivelare la mia condizione.
Pamela Morrison è mamma di tre figli allattati: Ian di 37 anni, Brian e Shaun di 32. È stata Consulente de La Leche League in Zimbabwe dal 1957 al 1997. Nel 1990 ha ottenuto la certificazione IBCLC in Zimbabwe, dove ha sviluppato uno speciale interesse per l’allattamento nel contesto dell’HIV. Ora lei e la sua famiglia vivono in Inghilterra.